La condizione giuridica femminile è stata oggetto di attenzione, da parte dei vari ordinamenti statali: la donna, per secoli, è stata posta in posizione di sudditanza rispetto all’uomo; i preconcetti e le ostilità nutriti nei confronti delle donne, le ponevano in ruoli marginali riguardo a quelli occupati dagli uomini, nella struttura sociale.
Nell’ordinamento italiano, alla donna viene riconosciuta la capacità giuridica solo nel 1919, con legge n. 1176, completata con regolamento del 4 gennaio 1920, n. 39.
Il quadro di norme in Italia, per combattere la violenza di genere, si è evoluto nel tempo. L’autorità maritale è stata abolita, la violenza sessuale contro le donne è diventata un reato penale, oltre che reato contro la morale pubblica, e viene perseguita su denuncia.
Il termine femicidio[1], già in uso nell’Ottocento, stava a significare, per l’appunto, l’uccisione di una donna, e così il Law Lexicon del 1848, lo ha considerato un crimine perseguibile. Nel Novecento, e precisamente alla fine degli anni ’80, numerose ricercatrici femministe, come Karen Stout[2], hanno effettuato i primi studi su questo fenomeno nelle relazioni d’intimità, con riferimento all’uccisione delle donne, da parte di uomini ad esse legati da una relazione sentimentale. Tuttavia, il termine femicidio, inteso come forma estrema di violenza di genere, è stato utilizzato per la prima volta da Diana Russell[3], nel 1976, la quale ha fatto riferimento all’uccisione sistematica di donne “per il fatto di essere donne”, evidenziandone così la natura di fatto sociale. La sociologa e criminologa ha inteso estendere la definizione a tutte le forme di uccisioni sessiste, dal momento in cui, diversamente dalle uccisioni misogine che si limitano ad includere le uccisioni ingenerate da atteggiamenti di odio nei confronti delle donne, queste prime comprendono anche quei delitti di uomini motivati da un senso di legittimazione e/o di superiorità sulle donne, dal desiderio passionale o sadico e/o da una presunzione di possesso su di esse. Il femicidio, quindi, si caratterizza per essere un crimine che avviene per motivi di genere e che ha come vittima “la donna perché è donna”, laddove l’omicidio di donne e/o di bambine avviene per ragioni misogine o sessiste, per rafforzare il dominio maschile, appropriandosi del corpo dell’altra, intesa come oggetto e non come persona, fino al punto di sopprimerlo. I maggiori fattori di rischio per la donna di essere vittimizzata per femicidio sono rappresentati proprio da quei luoghi e da quelle situazioni ritenute “sicure”: l’abitazione propria o della famiglia e la relazione coniugale o di coppia[4].
Per femicidio, quindi, si intende la forma più estrema di violenza contro le donne per distinguerla ed allo stesso tempo relazionarla col femminicidio[5], inteso come la violenza contro le donne in tutte le sue forme che mirano ad annientarne la soggettività sul piano psicologico, simbolico, economico e sociale, che solitamente precede e può condurre al femicidio.
Fu l’attivista femminista Marcela Lagarde, nel 1993, a sostituire il termine femicidio con quello di femminicidio, perché meglio si adattava a spiegare uno stato di machismo e di violenza patriarcale impunita. Con questo termine si faceva riferimento al “caso di Ciudad Juárez”: in questa città dello Stato messicano del Chihuahua, dal 1993, avvengono crimini che non sono riportati in nessun elenco ufficiale. Giovani donne, che lavorano nelle maquiladoras, sono rapite, violentate, torturate, sfigurate ed uccise. I loro corpi straziati, nella maggior parte dei casi, sono rinvenuti dopo un certo tempo e spesso ne è difficile il riconoscimento. Si tratta di una strage di donne, un vero e proprio “femminicidio”, una violenza perpetrata nei confronti delle donne che mira al loro annientamento, dal punto di vista morale, psichico e fisico.
Molte di queste donne non sono più state ritrovate e la maggior parte di questi crimini sono stati “derubricati” a violenza domestica o passionale, riducendo così il numero totale delle uccisioni. Molti casi, poi, non sono stati riconosciuti come «femminicidio», nonostante sui corpi ritrovati ci fossero evidenti tracce di violenze e torture. Il governo dello Stato di Chihuahua ha dichiarato ufficialmente 120 casi di femminicidio, mentre gli altri casi, come si ricordava in precedenza, sono stati sottodimensionati a semplici omicidi passionali o domestici. Non si parla di femminicidio nei casi di non riconoscimento dei corpi[6]. Dal 1993 circa 400 donne sono state assassinate in quella cittadina del Messico e oltre 600 risultano quelle scomparse.
Nonostante, nei vari continenti, si siano avviati dei percorsi legislativi, in merito a tali reati, uomini e donne, vivono, ancora oggi, in una situazione di asimmetria sociale, che oggettivizza rapporti di disparità: dominio maschile e conseguente subalternità femminile. Lo dimostrano diverse statistiche, nazionali ed internazionali, che sostanziano l'ennesimo retaggio di una società in cui permangono convenzioni e stereotipi patriarcali. Quest'analisi si riflette, inevitabilmente, anche in Italia, mettendo in evidenza un problema alquanto allarmante: i dati dimostrano che ogni 3 giorni viene uccisa una donna e ogni 12 secondi una donna è vittima di violenza. Un'inquietante statistica, quella dei femminicidi, che rappresenta un vero e proprio «bollettino di guerra» e che pone tutta una serie di problemi sociali ed istituzionali. In Italia, dall'anno 2000 ai primi dieci mesi del 2018, sono state ammazzate, complessivamente, circa 3.100 donne: di queste, il 79,2% sono state uccise in ambito familiare o, comunque, assassinate in contesti interpersonali di prossimità.
[1] Il termine “femicidio” equivale a quello di “femminicidio”, utilizzato da alcune studiose italiane tra le poche che si sono occupate del tema, come in B. Spinelli, Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale, Franco Angeli, Milano 2008.
[2] K. Stout, “Intimate Femicide: A national demographic overview”, in Journal of Interpersonal Violence, 6(4), che studia casi di femicidio avvenuti in 50 Stati tra il 1980 e il 1982 sulla base del Supplemental Homicide Report redatto dall’FBI, pp. 476-485.
[3] K. Stout, “Intimate Femicide: A national demographic overview”, in Journal of Interpersonal Violence, op. cit., p. 35.
[4] K. Stout, “Intimate Femicide: A national demographic overview”, in Journal of Interpersonal Violence, op. cit., pp. 476-485.
[5] B. Spinelli, Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale, op. cit.
[6] B. Spinelli, Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale, op. cit.
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