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Immagine del redattoreSimona Di Lucia

Gelosia e follia omicida di un 21enne a Lecce


Antonio De Marco è l’autore del duplice omicidio, avvenuto a Lecce nella serata del 21 settembre 2020: il ragazzo, che studiava per diventare infermiere, era ritenuto una persona tranquilla, ma in realtà, dietro quell’apparente normalità si nascondeva un profondo desiderio di violenza.

Il killer, secondo le dichiarazioni che egli stesso ha reso agli inquirenti, avrebbe brutalmente ucciso Daniele De Santis ed Eleonora Manta, rispettivamente, arbitro di calcio e funzionaria dell’INPS, perché erano – sue testuali parole – «troppo felici, per questo mi è montata la rabbia. So di aver sbagliato! Li ho uccisi».

Il De Marco, quindi, ha confessato di aver massacrato i due giovani, perché era invidioso della loro felicità e della loro relazione sentimentale. Il De Marco aveva vissuto nell’appartamento in cui si è consumato il duplice omicidio, fino alla fine di agosto del 2020, poiché il De Santis avrebbe voluto tenere l’appartamento per sé e per la fidanzata.

Il modus operandi omicidiario era stato pianificato nei minimi dettagli, attraverso un crono-programma in cui l’omicida aveva annotato le modalità con cui avrebbe commesso le uccisioni, fino a completare la sua opera criminale, attraverso la pulizia della scena del crimine: il killer, quindi, aveva pianificato ogni cosa in modo lucido, conformemente ai suoi scopi. Dopo il delitto, il giovane assassino è andato a ballare in un locale, per dimostrare una sua estraneità al duplice omicidio.

La dinamica dei fatti, come esposta nel resoconto del killer, è la seguente: «Sono andato a trovare Daniele ed Eleonora, convinto di trovare entrambi. Quando sono entrato in casa, i due erano seduti in cucina. Ho incontrato Daniele nel corridoio, il quale si è spaventato, perché avevo il passamontagna. Dopo aver avuto una colluttazione con lui, li ho uccisi. Quando ho colpito, lui ha cercato di aprire la porta per scappare. Ho ucciso prima lei e poi ho colpito nuovamente Daniele. Dopo aver lottato con loro, sono andato via senza scappare, perché non avevo fiato. Il passamontagna mi è stato sfilato da Daniele, il quale poi mi ha riconosciuto. Ho sentito gridare “Andrea”. Per ucciderli – 38 le coltellate inferte a Daniele, 36/37 alla sua fidanzata, come accertato dal medico legale Roberto Vaglio – ho acquistato il coltello da caccia presso il negozio denominato “Zona militare”. Loro non hanno mai pronunciato il mio nome. Dopo aver compiuto il gesto sono tornato a casa mia, sita in via Fleming. Ho dormito fino alla mattina successiva».

Il GIP usa testuali parole, per definire l’efferata azione omicidiaria commessa dal De Marco: «L’accanimento di De Marco sui cadaveri, che ha sbudellato un cadavere e appeso i relativi reperti sulla porta di ingresso delle vittime, è chiaramente rivelatore di quella spietata efferatezza, e di quella malvagia e inumana crudeltà che, certamente, integrano gli estremi della contestata circostanza aggravante».

Le azioni criminali, spesso, sono determinate da un rancore nei confronti del mondo e della realtà circostante, e possono essere originate da disturbi della personalità. Sarà sicuramente disposta una perizia psichiatrica, per stabilire se il killer sia socialmente pericoloso.

La letteratura criminologica annovera molti assassini commessi da menti lucide e fredde: a) il giovane veronese Pietro Maso, che nel 1991 massacrò i propri genitori con tre suoi amici, fu considerato perfettamente capace di intendere e di volere, nel commettere la sua azione omicidiaria; b) Angelo Izzo, che durante gli “anni di piombo” si rese protagonista, assieme a due suoi amici della “Roma bene”, di uno dei più atroci delitti della storia italiana: il pariolino, fu ugualmente considerato, a seguito di quegli efferati delitti, nel pieno possesso delle sue facoltà mentali.

Tirando le fila di quanto si è detto, si può sostenere che l’offender, in genere, mette in atto una sorta di “distorsione cognitiva” di ciò che ha commesso; ossia, attraverso una “deumanizzazione della vittima”, cerca di “spersonalizzare” qualsiasi sentimento di compassione, empatia e solidarietà, o sensi di colpa, nei confronti delle vittime e della propria condotta criminale.

Nel caso del duplice omicidio salentino, oltre alla violenza cospicua e rappresentata con crudezza, un aspetto significativo dell’intera vicenda, è costituito dall’utilizzo di un particolare tipo di linguaggio da parte dell’offender, che ne connota la spietatezza e l’impassibilità: un modo di parlare e pensare che il De Marco dimostra di aver assimilato già da tempo. Il giovane, quindi, vive in un universo chiuso, fatto di storie e di azioni in cui il rapporto distorto tra l’odio e l’amore sembra rientrare in un ordine naturale, né più né meno della vita e della morte, sempre assoluti, totali, disperati.

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