Il Trattato firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1° novembre 1993, è ufficialmente conosciuto come Trattato sull’Unione Europea (TUE). Tale trattato discende da un percorso comunitario ultraquarantennale, che ha avuto la sua origine il 9 maggio 1950, quando l’allora ministro degli esteri francese Schuman, rendeva una dichiarazione pubblica, attraverso la quale proponeva «l’intera produzione francese e tedesca del carbone e dell’acciaio sotto una comune Alta autorità, nel quadro di un’organizzazione alla quale possono aderire gli altri paesi europei»[1]. Il Trattato di Maastricht riunisce tutte e tre le originarie Comunità europee (CECA, CEE e CEEA) ed incentra la sua struttura sopra tre pilastri: il primo costituito dalla Comunità Economica Europea (CEE), il secondo si sostanzia nella politica estera e di sicurezza comune (PESC), il terzo concerne la giustizia e gli affari interni (GAI). Con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht coabiteranno nella stessa istituzione quattro trattati: a) il Trattato dell’Unione Europea che si occupava di definire quanto introdotto dal secondo e dal terzo; b) il Trattato della Comunità Economica Europea, successivamente ridenominata Comunità Europea; c) il Trattato dell’Euratom; d) il Trattato CECA.
Naturalmente, l’Unione Europea è composta da una serie di istituzioni, che agiscono autonomamente e allo stesso tempo sinergicamente, definendo dei criteri, attraverso l’emanazione di alcune norme, atte all’attuazione e al soddisfacimento della politica della stessa Unione Europea. Essa si fonda su una serie di istituzioni, attraverso le quali può agire in piena indipendenza ed interagire con i singoli Stati che ad essa hanno aderito. Tali istituzioni sono: a) il Parlamento europeo; b) il Consiglio europeo; c) il Consiglio; d) la Commissione europea; e) la Corte di giustizia dell’Unione europea; f) la Banca centrale europea; g) la Corte dei conti.
Ognuna di tali istituzioni opera all’interno dei confini che delimitano le competenze che le sono assegnate dai trattati, secondo le procedure, condizioni e finalità da essi contemplate. Le istituzioni, inoltre, da essi previste operano, tra loro, secondo dei principi di leale cooperazione. La ricerca si focalizza, in particolar modo, sul Parlamento europeo, che rappresenta i popoli dei vari Stati membri, all’interno dell’Unione Europea. Tale istituzione ha avuto origine dalla fusione tra l’Assemblea comune della CECA, l’Assemblea della CEE e l’Assemblea della CEEA in un’unica Assemblea, attraverso la convenzione sulle istituzioni comuni alle Comunità Europee del 1957. Il Parlamento europeo è stato denominato, in tal modo, solamente con il Trattato istitutivo dell’Unione europea, che non ha fatto altro che asseverare un uso oramai consuetudinario, risalente al 1958, data nella quale l’Assemblea, di propria iniziativa, aveva scelto il nome di Parlamento europeo. Fino al 1979, gli eurodeputati erano membri dei parlamenti dei singoli Stati membri, i quali venivano designati dai loro pari e cooptati all’interno del Parlamento europeo. L’elezione a suffragio universale diretto dei deputati al Parlamento europeo ad opera dei cittadini degli Stati membri, che era già contemplata nei trattati, venne realizzata solamente nel 1979, dopo una serie di innumerevoli tentativi, rivelatisi vani. La prima elezione diretta risale al giugno del 1979 e da tale anno avviene ogni 5 anni, al termine della legislatura. Nel momento in cui è stato eletto direttamente dai cittadini dell’Unione europea, il Parlamento europeo ha rivendicato il ruolo di rappresentante dei cittadini degli Stati membri dell’Unione, acquisendo, in tal modo, una legittimazione democratica. La sede del Parlamento europeo è situata a Strasburgo ed è stata scelta dal Consiglio europeo di Edimburgo[2]. Le sessioni plenarie hanno luogo sia a Strasburgo, sia a Bruxelles, mentre le riunioni delle commissioni si svolgono sempre a Bruxelles. La città di Lussemburgo rappresenta, invece, la sede del Segretariato generale del Parlamento europeo.
Il Parlamento europeo esercita la funzione legislativa dell’Unione europea, assieme al Consiglio dell’Unione europea e, in alcune fattispecie stabilite dai trattati, ha il potere di iniziativa legislativa, che normalmente appartiene alla Commissione europea. L’attuale composizione del Parlamento europeo è di 705 membri: 704 più il Presidente, suddivisi tra gruppi politici di maggioranza (471) e gruppi politici di opposizione (233). La composizione del Parlamento europeo, come delle altre istituzione dell’UE, non può prescindere, naturalmente, dalla «parità di genere», che rappresenta uno dei principi fondamentali dell’UE: il nuovo Parlamento di Strasburgo è, da questo punto di vista, il più inclusivo di sempre. L’attuale legislatura del Parlamento europeo (IX legislatura 2019-2024) è caratterizzata dal fatto di essere formata dalla più alta presenza femminile dalla fondazione di tale istituzione: le donne costituiscono, attualmente, il 40% dei parlamentari europei[3]. La percentuale femminile si è elevata progressivamente, in ogni legislatura, a partire dal 1979, anno in cui solo il 15,2% degli eurodeputati erano donne, sino a giungere alla scorsa legislatura, in cui le europarlamentari rappresentavano il 36,4%[4].
In realtà, prima di arrivare al fatidico anno 1979 (elezioni a suffragio universale diretto del Parlamento europeo), il percorso che ha portato all’universalità del suffragio, è stato lungo e faticoso: alla fine del XIII secolo, le donne europee non godevano dei diritti civili, né di quelli politici, che venivano concessi solo a ceti ristretti. Il messaggio di libertà ed uguaglianza fornito dalla Rivoluzione francese, a cui le donne aderirono con grandi speranze ed aspettative, pose sui tavoli istituzionali il tema dell’estensione del diritto di voto alle donne.
Questo iter progressista ha avuto la propria evoluzione anche nella realtà storico-politica dell’Italia, dove il percorso che ha condotto le donne alla conquista del diritto di voto, nell’anno 1946, ha avuto una gestazione durata secoli. Solo dopo travagliate vicende socio-culturali e politiche, dove i preconcetti e le ostilità nei confronti delle donne rappresentavano un fattore ostativo per la loro emancipazione, queste ultime hanno finalmente ottenuto quei diritti che la nuova forma di democratica e repubblicana dello Stato italiano, aveva attribuito loro, con i conseguenti diritti e doveri ad esse spettanti.
Il principio della parità di genere rappresenta una delle priorità dell’Unione europea, ed è sancito nell’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea (TUE). Nonostante le istituzioni europee si siano adoperate, nel corso degli anni, al fine di promuovere numerose azioni in favore della “parità di genere”, le leggi elettorali relative al Parlamento europeo sono ancora stabilite dai singoli Stati aderenti all’Unione europea, i quali hanno pieni poteri in merito: a) alle decisioni sull’età minima per l’elettorato attivo; b) alla soglia di sbarramento per l’ingresso nel Parlamento; c) alla presenza o meno di azioni positive per promuovere la presenza di donne all’interno dell’istituzione europea in oggetto.
Per quel che riguarda la proporzione delle rappresentanze in riferimento agli Stati che compongono l’Unione Europea, permane una disomogeneità, nella “suddivisione” parlamentare, nonostante la presenza del 40% delle eurodeputate all’interno del Parlamento sia stata accolta come un successo dal nuovo Presidente di tale Istituzione, David Sassoli. Infatti, non tutti i Paesi che aderiscono all’Unione europea sono stati virtuosi, in riferimento ad un rapporto equilibrato e progressista sul gender, tra Istituzione parlamentare europea e Parlamenti nazionali. Analizzando i dati esposti dall’EIGE (Istituto europeo per l'uguaglianza di genere), si può notare che nell’ultimo decennio vi è stato un aumento sostanziale della rappresentanza femminile all’interno delle Istituzioni parlamentari degli Stati membri: si è passati dal 23,9% dell’anno 2008, al 30,2% del 2018[5]. Secondo l’EIGE, la percentuale di donne europarlamentari corrisponde al 38,4%, vale a dire che 28 dei 73 eurodeputati appartengono alla rappresentanza femminile. Per quel che concerne la presenza delle donne, all’interno delle Istituzioni Parlamentari degli Stati membri nell’anno 2018, l’EIGE registra un più alto equilibrio di gender, relativamente alla Spagna (41,4%), alla Finlandia (41,5%), alla Svezia (46,7%). Gli Stati membri nei quali permane un numero basso di donne all’interno dei propri Governi, rapportato, in special modo, ai Paesi del Nord Europa sono: la Lituania (13,3%), l’isola di Malta (13,3%) e l’Ungheria (7,1%). In riferimento alla percentuale relativa ai leader di partito, secondo l’EIGE, gli Stati membri che si parametrano in modo più equilibrato rispetto al gender sono: la Gran Bretagna (50%), la Germania (40%) e il Portogallo (40%).
Riguardo alla rappresentanza femminile al Parlamento europeo, si registra un trend in salita, tenendo conto che l’attuale mandato parlamentare europeo si è aperto con il 36,9% di eurodeputate donne: il dato, in seguito ai mutamenti intervenuti nella composizione del Parlamento europeo, risulta tutt’ora in un leggero calo di percentuale, corrispondente al 36,2%.
Gli Stati membri che hanno una rappresentanza femminile più alta nell’Istituzione parlamentare europea sono: la Finlandia (76,9%), la Croazia (54,5%), l’Irlanda (54,5%), Malta (50%) e la Svezia (50%).
Per quel che riguarda la gender equality, l’Unione europea si è molto adoperata, negli ultimi due decenni del XXI secolo: vi sono stati alcuni interventi, a carattere comunitario, di ampio rilievo, come la “Carta per le donne” del 2001, la “Strategia per la parità tra donne e uomini 2010-2015”, il “Patto europeo per la parità di genere 2011-2020” e l’”Impegno strategico a favore della parità di genere 2006-2009”.
A tali tipi di documenti vanno aggiunti quelli maggiormente indirizzati verso una valorizzazione della dimensione di genere, nell’ambito della direzione aziendale, tra cui vanno menzionate le risoluzioni del Parlamento europeo su “Donne e direzione delle imprese”, del 6 luglio 2011 e su “Parità tra donne e uomini nell’Unione europea-2011” del 13 marzo 2012, oltre ad una proposta di direttiva nell’ambito del miglioramento dell’equilibrio di genere tra i consiglieri non esecutivi delle società quotate, pubblicata nel mese di novembre del 2012. L’Unione europea si è, infatti, più volte focalizzata sulla condizione femminile all’interno del contesto economico europeo e nell’ambito delle imprese, rimarcando l’importanza di una più ampia partecipazione delle donne al mercato del lavoro, anche attraverso l’assunzione di incarichi di carattere manageriale, nonché attraverso un più ampio coinvolgimento del female gender all’interno della governance aziendale. Nell’ambito di tale prospettiva, gli interventi dell’Unione europea si propongono di stimolare un rafforzamento della board diversity, con specifico riferimento alla dimensione di genere. In termini più generali, la posizione dell’UE in merito alla gender equality può essere analizzata in rapporto alla strategia “Europa 2020”, che si propone di perseguire una crescita intelligente, inclusiva e sostenibile nel lungo termine e che non può non tener conto di due fattori: la condizione di indipendenza economica che l’Unione europea si propone di garantire a tutti i cittadini, uomini e donne, e il contributo del female gender allo sviluppo economico[6].
In definitiva, si può affermare che nell’ambito dei rapporti di genere, le Istituzioni europee hanno assunto, soprattutto negli ultimi decenni, una posizione determinante: in particolar modo, l’Istituzione parlamentare europea ha svolto un ruolo centrale nell’appoggiare le politiche per le pari opportunità; in special modo, il Parlamento europeo ha rappresentato e rappresenta, un palcoscenico significativo per dare voce alle istanze, ai diritti e alle richieste delle donne, soprattutto attraverso la rappresentanza femminile. Il Parlamento europeo ha creato, al proprio interno, degli importanti organi concernenti il gender: a) la Commissione sui diritti della donna e l’uguaglianza di genere (FEMM): tale commissione parlamentare è stata fondata nel 1984 ed è competente per la definizione, la promozione e la tutela dei diritti della donna nella UE; la promozione dei diritti della donna nei paesi terzi; la politica in materia di pari opportunità, inclusa la parità tra uomini e donne, per quel che riguarda le opportunità nel mercato del lavoro e il trattamento sul lavoro; l’eliminazione di ogni discriminazione fondata sul sesso; la realizzazione e il continuo sviluppo del gender mainstreaming; il monitoraggio e l’implementazione degli accordi e delle convenzioni internazionali, che hanno affinità con i diritti della donna; la politica di informazione sulle donne. b) Il Comitato “Pari opportunità tra uomini e donne”: tale comitato è integrato alla Direzione generale del Personale del Parlamento europeo, con la funzione di favorire un ambiente di lavoro, all’interno del quale viene rispettata la dignità di tutti; prevedere un orario di lavoro flessibile, per favorire il lavoro part-time e lo smart working e di contemplare le modalità di applicazione del congedo familiare e parentale, al fine di rendere migliori le strutture di accoglienza per l’infanzia; inoltre, tale comitato deve essere vigile sull’applicazione del principio di pari opportunità durante il reclutamento, nella gestione delle carriere, nella formazione professionale e nell’accesso ai centri decisionali. c) Il Settore Diritti della donna presso la Direzione generale degli Studi: si fa riferimento alla Direzione A, presso la Direzione Generale degli Studi (DG 4) del Parlamento europeo, che operando in sinergia con la Commissione sui diritti della donna e le pari opportunità e il Segretariato del PE, porta avanti, tra gli altri compiti, ricerche sulle questioni di genere. Gli studi possono essere sia a lungo termine, spesso condotti da istituti di ricerca esterni, sia a breve termine (documenti di lavoro, schede tematiche o tecniche, note d’informazione)[7].
Da un’indagine del Censis (lavoro affidato, nel 2003, dalla Commissione Nazionale Pari Opportunità), il 76% degli intervistati reputa che le donne siano essenziali per una buona governance, all’interno delle Pubbliche Amministrazioni, perché fornirebbero delle expertise proprie delle donne: pragmatismo, capacità di ascolto, attitudine all’incontro tra le diversità[8]. Tuttavia, sono ancora poche le donne che, in alcuni Stati europei, optano per la res pubblica, in quanto la differenziazione dei ruoli di genere, imposta da modelli tradizionali di divisione dei compiti, contempla un sistema ancora rigidamente patriarcale. La limitata presenza delle donne in alcune posizioni di potere, non è un fenomeno visibile solo nei contesti politici, ma risulta riscontrabile in molti ambiti della vita professionale, sociale ed economica, che sono ancora legati ad assetti cristallizzati, perché ancorati a criteri e schemi del passato.
Il gap tra uomini e donne, in politica, risulta ancora troppo evidente; pertanto, solamente attraverso un’educazione che abbatta gli stereotipi di genere, si potrà raggiungere un’effettiva parità tra donne e uomini, al fine di cogliere, nei due generi, le diverse caratteristiche e abilità, per agire più in profondità, nel miglioramento dei percorsi evolutivi che attengono alle trasformazioni sociali, economiche e politiche della contemporaneità.
[1] S. Gerli, Elementi di Diritto dell’Unione Europea. Complemento didattico per lo studio e il ripasso - IX edizione, Simone S.p.a., Napoli 2015, p. 7. [2] K. D. Borchardt, L’ABC del diritto dell’Unione europea, Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, Lussemburgo 2011. [3]https://www.europarl.europa.eu/news/it/press-room/20190627IPR55404/costituzione-della-nona-legislatura-del-parlamento-europeo [4]https://www.europeandatajournalism.eu/ita/Notizie/Data-news/Parlamento-europeo-e-parita-di-genere-l-Ue-si-avvicina-al-suo-obiettivo [5] http://documenti.camera.it/leg18/dossier/pdf/RI018.pdf [6] L. Bossetti, La corporate governance nell'Unione europea: interventi di armonizzazione e best practicies, G. Giappichelli Editore, Torino 2017. [7] F. Di Sarcina, Diritti e politiche di parità nell’Unione europea, Università degli Studi di Siena – Centro di Informazione Europe Direct, Siena 2010. [8] Indagine “Donne e politica. Vecchie legature e nuove chances”, Censis 2003 promossa dalla Commissione Nazionale Parità.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Barbera M., Il nuovo diritto antidiscriminatorio. Il quadro comunitario e nazionale, Giuffrè Editore, Milano, 2007.
Bardi L., Ignazi P., Il Parlamento europeo, Il Mulino, Bologna, 2004.
Beard M., Donne e potere. Per troppo tempo le donne sono state messe a tacere, Mondadori, Milano, 2018.
Beccalli B., La peculiarità italiana nel contesto internazionale, in “Una democrazia incompiuta. Donne e politica in Italia dall’ottocento ai nostri giorni” a cura di Filippini N. M. e Scattigno A., Franco Angeli, 2008.
Borchardt K. D., L’ABC del diritto dell’Unione europea, Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, Lussemburgo, 2011.
Bossetti L., La corporate governance nell'Unione europea: interventi di armonizzazione e best practicies, G. Giappichelli Editore, Torino, 2017.
Breen M., Jordahl J., Donne senza paura. 150 anni di lotte per l’emancipazione femminile. Libertà, uguaglianza, sorellanza, Tre60, Milano, 2019.
Calafa’ L., Gottardi D., Il diritto antidiscriminatorio tra teoria e prassi applicativa, Ediesse, Roma, 2009.
Cavino M., Conte L., Le trasformazione dell’istituzione parlamentare. Da luogo di compromesso politico a strumento tecnico della divisione del lavoro, Editoriale Scientifica, Napoli, 2017.
Demaria C., Tiralongo A., Teorie di genere. Femminismi e semiotica, Bompiani, Milano, 2019.
Derrida J., L'écriture et la différence, Seuil, Paris, 1967.
Di Sarcina F., Diritti e politiche di parità nell’Unione europea, Università degli Studi di Siena – Centro di Informazione Europe Direct, Siena, 2010.
Federici S., Genere e capitale. Per una rilettura femminista di Marx, DeriveApprodi, Roma, 2020.
Formengo G., Guadagnini M., Un soffitto di cristallo? Le donne nelle posizioni decisionali in Europa, Fondazione Olivetti, 1999.
Gerli S., Elementi di Diritto dell’Unione Europea. Complemento didattico per lo studio e il ripasso - IX edizione, Simone S.p.a., Napoli.
Gray A., Video playtime: The Gendering of a Leisure Technology, Routledge, London, 1992.
Livolsi M., L’Italia che cambia, La Nuova Italia, Firenze, 1993.
Marcuse H., One dimensional man, Beacon, Boston, MA (trad. it. L’uomo a una dimensione), Einaudi, Torino, 1971.
Minesso M., Welfare donne e giovani in Italia e in Europa nei secoli XIX-XX, FrancoAngeli, Milano, 2015.
Mirabelli L., Donne, Politica e Istituzioni: la presenza delle donne nel Parlamento italiano, Edizioni Accademiche Italiane, Milano, 2017.
Lupo N., Manzella A., Il parlamento europeo. Una introduzione, Luiss University Press, Roma, 2019.
Mazzoleni G., Comunicazione e potere, Liguori, Napoli, 1992.
Salvati E., Il Parlamento Europeo. Tra crisi del processo d’integrazione e politicizzazione dell’Unione Europea, Mondadori, Milano, 2019.
Shevchenko I., Eroiche. Amazzoni, peccatrici e rivoluzionarie, Giulio Perrone Editore, Roma, 2020.
Vitali F., I luoghi della partecipazione: una ricerca su donne, lavoro e politica. Introduzione di P.G. Bresciani, FrancoAngeli, Milano, 2009.
Comments